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IL MAL DI SCHIENA
DALLA TEMPESTA PERFETTA ALLA CIAMBELLA DI SALVATAGGIO
a cura di Venuto Dr. Filippo Luciano
Specialista in Ortopedia
Premessa
Il mal di schiena è un sintomo molto fastidioso, spesso anche altamente invalidante, che colpisce persone di ogni età. Può essere legato a una varietà di disturbi: muscolari, tendinei legamentosi, ossei e di organi interni. Seppur apparentemente banale, il mal di schiena può comunque nascondere patologie più complesse o, comunque, influire negativamente sulla qualità di vita di chi ne soffre.
A seconda del tratto del rachide (la colonna vertebrale) coinvolto nel dolore, è possibile distinguere tra: cervicalgia, se si manifesta a livello cervicale; dorsalgia, se si manifesta a livello dorsale, dalle scapole, lungo le arcate costali e a volte fino allo sterno, e lombalgia se colpisce la zona lombo-
Cenni di anatomia e fisiopatologia
La schiena nel suo insieme, come struttura locomotoria, dall’interno verso l’esterno è formata da: una struttura ossea e da strutture muscolo/legamentose che avvolgono la struttura ossea a strati
La struttura ossea è formata in media da 33 o 34 vertebre appoggiate l’una sull’altra con interposto un disco intervertebrale.
La colonna vertebrale è un complesso formato da segmenti ossei sovrapposti ed articolati fra di loro, le vertebre. Si presenta come uno stelo osseo situato nella parte posteriore del tronco, sulla linea mediana; si estende in senso cranio/caudale, seguendo l’asse longitudinale del corpo, dal cranio, col quale si articola, fino alla pelvi,di cui entra a far parte. Può essere scomposta in in quattro segmenti che corrispondono alle quattro parti in cui si divide il tronco, e cioè: tratto cervicale (collo) ; tratto toraco/dorsale (torace) ; tratto lombare (addome); tratto sacro/coccigeo (pelvi)
Il tratto cervicale è formato da 7 vertebre , la prima di esse si articola con l’osso occipitale, che appartiene al cranio, l’ultima con la prima delle vertebre toraciche.
Il tratto toraco/dorsale è costituito da 12 vertebre toraciche mediante le quali si articola con le costole.
Il tratto lombare consta di 5 vertebre lombari, l’ultima della quali si articola con il sacro.
Il tratto pelvico (sacro/coccigeo) della colonna verebrale presenta una costituzione differente rispetto a quella delle parti che lo precedono; esso è infatti formato da due ossa, il sacro e il coccige, che derivano dalla fusione dei primitivi segmenti vertebrali e che si articolano tra di loro. Il sacro si articola inoltre con le due ossa dell’anca (ossa iliache). Si possono individuare 5 segmenti costitutivi nel sacro e 4 o 5 ossa nel coccige.
Le vertebre presentano delle caratteristiche comuni e delle caratteristiche specifiche che ci permettono di riconoscerne il tratto di appartenenza o addirittura riconoscerla individualmente.
Le vertebre sono ossa brevi formate da un corpo e da un arco che insieme delimitano un foro vertebrale. Il corpo costituisce la parte ventrale (anteriore) della vertebra; è la parte più voluminosa e resistente , ha una forma quasi cilindrica e presenta una faccia superiore e una inferiore e un contorno. Le facce sono lievemente concave al centro con un bordo periferico che si solleva nei margini. Nella circonferenza si riconosce una porzione antero/laterale, che risulta concava in senso trasversale e nella sua porzione posteriore delimita anteriormente il foro vertebrale. I corpi delle vertebre contigue si articolano fra di loro tramite le facce alle quali si interpone il disco intervertebrale.
L’arco è la parte posteriore della vertebrale insieme col corpo contribuisce a delimitare lateralmente il foro vertebrale (dove scorre il midollo spinale). Attaccate ad esso si riconoscono e si possono descrivere, dall’avanti all’indietro: due peduncoli, due masse ipofisarie, due lamine e un processo spinoso.
I peduncoli si presentano come due piccole lamine appiattite e dirette sagittalmente; formano i limiti laterali del foro vertebrale e rappresentano il tramite che unisce l’arco al corpo. Ciascun peduncolo ha una faccia interna prospiciente il foro vertebrale, una faccia esterna che si continua sulla faccia laterale del corpo, e due margini, superiore e inferiore, che sono concavi in alto e in basso. I margini di tali peduncoli di due vertebre adiacenti delimitano i forami intervertebrali ( o fori di coniugazione) che danno passaggio ai nervi spinali.
Le masse ipofisarie si trovano posteriormente ai peduncoli: in corrispondenza di esse l’arco vertebrale aumenta di volume e presenta una formazione alquanto irregolare. Ciascuna massa ipofisaria presenta diversi rilievi ossei che si distinguono in un processo articolare superiore, un processo articolare inferiore ed un processo traverso. I due processi articolari superiore e inferiore mettono in giunzione gli archi delle vertebre contigue. Il processo traverso si presenta come una propaggine dell’arco diretta in fuori; tramite la sua base esso si continua col peduncolo, con i processi articolari e con la lamina dello stesso lato.
Le lamine vertebrali fanno seguito posteriormente alla massa ipofisaria, forniscono la maggior parte del contorno posteriore del foro vertebrale; sono appiattite, quadrilatere e si dirigono obliquamente dall’alto in basso per convergere sulla linea mediana.
Il processo spinoso, impari e mediano prende origine, con la sua base, nell’angolo di unione delle due lamine e si porta all’indietro; ha forma e direzione variabili nei diversi tratti della colonna vertebrale.
Le vertebre presentano la conformazione interna che è caratteristica delle ossa brevi. Esse sono cioè formate per la maggior parte da sostanza ossea spugnosa rivestita da una lamina di sostanza ossea compatta, più sottile nel corpo rispetto alle altre parti ossee vertebrali. Nelle cellette della sostanza spugnosa del corpo è contenuto midollo osseo. La faccia superiore e inferiore dei corpi e la superficie articolare dei processi spinosi articolari sono rivestite da cartilagine jalina.
Il tratto cervicale presenta delle caratteristiche vertebrali particolari, a cominciare delle prime due vertebre che hanno un nome (atlante ed epistrofeo); quest’ultima presenta un processo, chiamato dente dell’epistrofeo che si inserisce nell’atlante che è praticamente senza corpo. Quest’ultima accoglie, mediante due faccette articolari superiori, il cranio, mediante l’osso occipitale. Altra caratteristica delle ossa occipitali è la presenza dei fori traversi dove passano arteria e vena vertebrale. Altra vertebra caratteristica è la settima cervicale, che presenta un processo spinoso lungo e robusto per il quale prende il nome di vertebra prominente.
Le vertebre dorsali hanno come caratteristica principale le fossette costali dove si articolano le costole.
Le vertebre lombari sono identificabili per il notevole volume del corpo, e nella caratteristica forma dei processi spinosi (quadrilatera e dirette orizzontalmente indietro). Il foro vertebrale è triangolare e piuttosto ristretto.
L’ osso sacro è un unico pezzo osseo, che fa seguito al segmento lombare della colonna vertebrale; deriva dalla fusione di cinque segmenti primitivi, le vertebre sacrali. Insieme al coccige e alle due ossa dell’anca forma il bacino. Il sacro ha forma di una piramide quadrangolare con base in alto ed apice in basso. La base del sacro si pone in rapporto con la quinta vertebra lombare, formando un angolo a convessità anteriore che è denominato promontorio. L’osso è percorso dalla base all’apice dal canale sacrale che rappresenta l’ultimo segmento del canale vertebrale. Negli ultimi segmenti sacrali tuttavia manca la porzione laminare delle vertebre lasciando il canale vertebrale aperto nell’ultimo tratto.
Ad eccezione dell’osso sacro e del coccige le vertebre si articolano fra loro attraverso i corpi e i processi traversi; esse inoltre sono riunite per mezzo di legamenti a distanza che connettono le lamine, i processi traversi ed i processi spinosi. Le articolazioni tra i corpi vertebrali od articolazioni intersomatiche sono sinartrosi, quelle fra i processi articolari sono diartrosi. Queste sono le articolazioni intrinseche della colonna vertebrale, poiché essa si articola mediante articolazioni estrinseche con la testa in alto, in avanti con le coste, in basso e lateralmente con le due ossa dell’anca.
L’articolazione tra i corpi vertebrali si effettua tra la faccia inferiore e superiore di due vertebre contigue. Si è detto che le superfici articolari si presentano depresse al centro e rilevate alla periferia e sono rivestite di cartilagine articolare; tra di esse si trova il disco intervertebrale cosicché le articolazioni intersomatiche possono essere considerate come sinartrosi del tipo delle sinfisi. I dischi intervertebrali hanno la forma di una lente biconvessa e vi si distingue una faccia superiore, una faccia inferiore e una circonferenza. Sono costituite da una parte periferica, anello fibroso, e una parte centrale, nucleo polposo, che non si trova esattamente al centro del disco, ma è dislocato in avanti nel segmento cervicale, indietro nei segmenti toracico inferiore e lombare. Il nucleo polposo si sposta durante i movimenti della colonna vertebrale ed in tal modo rende possibile una certa inclinazione dei piani vertebrali che vengono tra loro a contatto. I dischi intervertebrali, seguendo il contorno della faccia dei corpi, vengono a delimitare parte del contorno dei fori intervertebrali. Ciò si verifica per una maggior estensione nel segmento lombare dove le incisure dei peduncoli sono poco profonde; in tal modo si stabilisce un esteso rapporto tra i dischi stessi e le formazioni nervose che si impegnano nei fori di coniugazione.
Ill nucleo polposo del disco intervertebrale molto ricco di acqua ed ha la funzione di distanziare e ammortizzare i corpi vertebrali rendendoli mobili l’un l’altro e preservando la mobilità stessa del rachide in toto. Nello stesso tempo permette il mantenimento degli spazi giusti per il passaggio delle radici nervose che fuoriescono dai forami intervertebrali a partenza dal midollo spinale che scorre nel canale osseo posizionato posteriormente alle vertebre, che dall’encefalo arriva fino alla zona lombo/sacrale aprendosi a ventaglio nella cauda equina.
Usando una definizione impropria, ma a pensarci bene non più di tanto, il disco intervertebrale permette la “respirazione” delle strutture interdiscali.
Oltre al disco intervertebrale i mezzi di unione delle articolazioni intersomatiche sono dati dai legamenti longitudinali anteriore e posteriore.
Il legamento longitudinale anteriore è un nastro fibroso che si addossa alla faccia anteriore dei corpi vertebrali, dall’epistrofeo alla parte superiore del sacro. Esso aderisce fortemente ai corpi vertebrali e , in modo più lasso, ai dischi intervertebrali.
Il legamento longitudinale posteriore si trova sulla faccia posteriore dei corpi vertebrali ed è perciò prospiciente verso il canale vertebrale; si estende dall’osso occipitale al sacro sotto forma di una bendarella fibrosa a contorno festonato in quanto risulta slargata in corrispondenza dei dischi e ristretta a livello dei corpi. La faccia anteriore del legamento aderisce ai corpi ed ai dischi intervertebrali; la faccia posteriore si mette in rapporto con la dura madre.
Le articolazioni fra i processi articolari delle vertebre sono diartrosi del tipo delle artrodie in quanto si effettuano fra faccette articolari piane o, come nel segmento lombare, leggermente incurvate. I movimenti a tale livello sono perciò sempre di scorrimento tra le superfici contigue. I mezzi di unione sono dati da una capsula fibrosa al cui interno si applica una sinoviale piuttosto lassa. La capsula fibrosa è rinforzata, in tutti i segmenti della colonna, dai legamenti gialli e, nei segmenti toracico e lombare, dal legamento di rinforzo posteriore.
Altri legamenti che entrano in gioco a completamento dell’articolazioni intervertebrali sono. I legamenti gialli tesi fra le lamine, il legamento interspinoso che unisce i processi spinosi, i legamenti inter-
A completamento della struttura della colonna bisogna focalizzare adesso l’attenzione sugli elementi anatomici di tipo plastico che rendono il rachide dinamicamente stabile.
A questa funzione partecipano, in modo altamente attivo e complementare, delle strutture muscolari che dal profondo alla superficie avvolgono le vertebre.
Dalla profondità alla superficie essi sono:
il multifido
il traverso dell'addome
gli obliqui esterni
gli obliqui interni
il retto addominale
il quadrato dei lombi
i dorsali
che, insieme ai muscoli del pavimento pelvico, al diaframma, ai sistemi muscolari obliqui posteriori, mm longitudinali profondi,obliqui anteriori e laterali, formano il complesso funzionale muscolare, che ha il compito di rendere stabile la colonna.
Tale complesso funzionale muscolare stabilizzatore della colonna viene descritto e suddiviso come una unità interna, che comprende imuscoli del pavimento pelvico, il trasverso dell'addome, il multifido e il diaframma, e una unità esterna, che comprende quattro sistemi muscolari : il sistema obliquo posteriore, il sistema longitudinale profondo, i sistemi obliquo anteriore e laterale.
L’unità funzionale vertebrale:
La maggior parte dei disturbi che colpiscono la colonna lombosacrale è di natura meccanica. Per comprendere il dolore e la compromissione funzionale di questa regione è importante definire e comprendere l’unità funzionale vertebro/spinale.
La colonna vertebrale è costituita da una serie di segmenti sovrapposti.
L’unità funzionale è composta da due corpi vertebrali adiacenti, disposti uno sopra l’altro, separati da un disco intervertebrale e da tutte le articolazioni ed i legamenti fra essi contenuti.
Essa può essere suddivisa in un segmento anteriore, che è sostanzialmente una struttura flessibile di supporto, che sostiene il peso ed assorbe i traumi, costituito da due corpi vertebrali adiacenti e dal disco intervertebrale fra essi contenuto, e in un segmento posteriore, costituito da quelle strutture che formano la parete esterna del canale spinale e comprende quindi i peduncoli, i processi trasversi, lefaccette articolari, le lamine e i processi spinosi posteriori, sedi di inserzione della muscolatura estensoria. Ogni unità funzionale comprende tutti i tessuti indispensabili per la funzionalità globale. Questi tessuti possono essere dotati di nocicettori, provocando dolore. Una lesione di ciascun componente dell’unità funzionale può portare a compromissione funzionale dell’intero sistema. Il dolore compare quando il tessuto leso è innervato da terminazioni nocicettive.
Il disco intervertebrale è sostanzialmente un tessuto non innervato. Soltanto lo strato più esterno dell’anulus è innervato e può essere sede di uno stimolo nocicettivo.
Il corpo vertebrale è costituito da tessuto insensibile, a meno che non sia coinvolto in patologie metaboliche o metastatiche. Il periostio è invece innervato e quindi in grado di diventare sede di dolore.
E’ dimostrato che il legamento longitudinale anteriore è un tessuto sensibile al dolore. Stimoli irritativi chimici, meccanici o elettrici possono provocare dolore locale o riferito nelle aree di distribuzione metamerica (sclerotomi).
Anche il legamento longitudinale posteriore è innervato, da fibre somatiche amieliniche e da fibre sensoriali simpatiche. Una irritazione di questo legamento può provocare dolore.
La radice nervosa sana di per sé non è sensibile: l’irritazione della radice nervosa (assoni) per stiramento, pressione o trauma non provoca dolore: può provocare invece parestesia, disestesia, analgesia o paralisi motoria, ma raramente dolore. Il tessuto irritabile della radice nervosa all’interno del forame intervertebrale, fornito di fibre nervose sensoriali in grado di trasmettere dolore è il nervo meningeo ricorrente. Nella guaina durale sono contenuti liquor, venule, arteriole, vasi linfatici e nerva nervorum.
Il dolore cronico è stato attribuito alla fibrosi della radice nervosa e del ganglio dorsale all’interno del forame. Questa fibrosi è stata equiparata ad "infiammazione" come causa di dolore nevritico provocato da erniazione del disco, stenosi del forame o aracnoidite.
Nel legamento giallo il tessuto è costituito quasi essenzialmente da fibre di elastina ed in minima parte da fibre collagene o fibrose; non sono state osservate innervazioni. Questo è quindi un tessuto insensibile. Una lesione del legamento giallo induce dolore quando, per lassità, questo protrude nel forame intervertebrale provocando compressione delle strutture circostanti.
In sintesi possiamo dedurre e comprendere la definizione della (già descritta da altri autori) unità funzionale, formata da: due vertebre contigue, un disco intervertebrale, due radici nervose e una porzione di midollo. A salvaguardia e mantenimento di tale unità bisogna aggiungere la struttura muscolo/legamentosa profonda che avvolge a manicotto la omnidescritta unità funzionale, che nel suo insieme io chiamerò sistema funzionale della schiena. Il perché di tale descrizione lo capiremo man mano che ci addentreremo nel problema.
Dal punto di vista biomeccanico voglio iniziare a mettere in evidenza il disegno della struttura ossea della schiena: essa è sempre stata descritta con una forma di S italica senza mai sottolineare la vera funzionalità di questa forma. Per adesso diciamo solo questo.
Quello appena brevemente descritto ci fa capire e ci porta a sottolineare che la colonna vertebrale è una delle strutture più forti e complesse, dal punto di vista funzionale, del nostro corpo, in quanto deve assolvere a numerosi ed importanti compiti:
stabilità: sostiene il tronco, gli arti superiori e il capo;
mobilità: consente tutti gli spostamenti del tronco e della testa;
equilibrio : come vedremo in seguito la porzione lombare rappresenta il baricentro dove tutti i vettori di forza convergono durante i movimenti del tronco e degli arti ;
contenimento: proteggere il midollo spinale.
Queste funzioni apparentemente sembrano essere in contraddizione tra di loro (stabilità-
Da quando ci siamo evoluti in Homo Erecticus perdendo la posizione a quattro zampe, la colonna ha dovuto subire una serie di adattamenti per sopperire a funzioni per i quali non era stata inizialmente progettata: il più importante cambiamento e conseguente adattamento che la schiena è stata costretta a subire è stato legato all’aumentata forza di pressione (forza di gravità e peso del corpo) sui corpi vertebrali e quindi sui dischi intervertebrali, con aumento oserei dire spropositato rispetto a una posizione orizzontale della colonna, delle progressive forze di schiacciamento sulle strutture ossee e successivamente nervose già descritte, con la conseguente comparsa del mal di schiena; un dolore tipico della razza umana (erecta). Durante questa evoluzione in erezione la natura perciò ha cercato di limitane i danni, costruendo e mantenendo quella struttura a S Italica la cui funzionalità biomeccanica sta nel “rompere” le linee di forza sui dischi intervertebrali cercando di mantenerle oblique, evitandone la perpendicolarità che rappresenterebbe il massimo peso di schiacciamento.
Ma è anche vero che lo stile di vita di ciascuno di noi ha singolarmente un ruolo fondamentale. Il fatto di avere poi oggi abituato la parte bassa della schiena ad adattarsi alla posizione seduta ha ulteriormente aumentato i problemi. Questo soprattutto disabituando al lavoro la fascia dei muscoli addominali e facendo perdere in tale posizione la fisiologica lordosi lombare. Per questo tutti soffrono, prima o poi, di mal di schiena: è il nostro stile di vita in quanto essere umani.
CAUSE E CONCAUSE DEL MAL DI SCHIENA
Le cause teoriche del mal di schiena sono molto numerose. Ancor di più sono i termini medici che indicano queste cause. Ci sono vocaboli diversi che sono, spesso, definizioni differenti della stessa patologia: ecco perché andare da tanti medici significa spesso sentirsi attribuire altrettante diagnosi.
Cause ossee
Regina delle cause ossee è sicuramente l’artrosi , malattia spesso erroneamente riferita all’invecchiamento del corpo ma che in realtà può colpire l’essere umano pressoché in tutte le età. E’ questa una degenerazione delle articolazioni caratterizzata spesso da usura, ma frequente anche nel post trauma, con conseguente diminuzione del liquido posto tra i capi articolari, contratture muscolari intorno ai tratti interessati conseguenti al dolore, blocco dei movimenti. I tratti della colonna più colpiti sono quelli cervicale e lombare. Tipico è il dolore acuto alla mattina quando ci si mette in movimento e che poi recede con l’attività per ripresentarsi alla sera.
Cause Muscolari
La compresenza di rigidità ed elasticità caratteristiche della colonna vertebrale è dovuta non solo alla struttura ossea (mobile e dura nel tempo stesso), ma anche ad un complesso muscolare che va dal capo al bacino comprendendo anche spalle, torace e fianchi. Per chiarire meglio, si può paragonare il dorso del corpo ad una barca a vela vista da dietro in cui la colonna è "l’albero" inserito nella "chiglia" (il bacino), con i "tiranti" (sartie) rappresentati dai muscoli a sostegno delle "vele" date dall’intera superficie della schiena.
La rigidità è garantita dai tiranti muscolari, simmetrici a destra e a sinistra, che, come le sartie della nave, hanno il compito di ancorare la colonna al bacino. L’elasticità dipende dal fatto che i muscoli possono, oltre a "contrarsi" anche rilasciarsi, insieme alla particolare struttura di tutta la spina dorsale fatta, come abbiamo visto, di parti ossee mobili una sull’altra.
L’equilibrio descritto tra rigidità ed elasticità permette alla colonna vertebrale, come all’albero della nave, di piegarsi molto senza spezzarsi mai.
L’ernia del disco invece possiamo inserirla in una causa complessa (osteo/muscolo/nervosa).
Come detto, le vertebre sono separate una dall’altra dai dischi intervertebrali, formazioni di consistenza acquosa -
Può accadere, per fatti acuti o cronico/degenerative che le strutture muscolo/legamentose subiscano dei cedimenti tali per cui non riescono a svolgere al meglio la loro funzione di contenimento, permettendo così al nucleo polposo del disco intervetebrale di lesionare l’anello fibroso che lo contiene e scivolare fuori dal loro posto (ernia), talvolta anche sotto l’impulso di sollecitazioni di solito considerate lievi (alzarsi da una poltrona, sollevare una valigia).
L’ernia si definisce "contenuta" nell’iniziale cedimento dei legamenti. Si considera "protrusa" quando, pur essendo riuscita a far breccia sui legamenti, non si allontana dalla sua sede. E’ "espulsa" quando il disco è fuoriuscito e si distacca dallo spazio tra le due vertebre.
In genere l’ernia discale colpisce prevalentemente il sesso maschile nell’età compresa tra i 35 e i 50 anni. In età successiva l’invecchiamento generale del corpo causa una perdita della consistenza acquosa -
E’ più frequente a livello lombare (ultime vertebre), mentre è rara a livello dorsale.
Non è raro invece riscontrarla anche a livello cervicale. Rappresenta la causa più comune di lombosciatalgia e di nevralgia cervico -
Quando c’è mal di schiena allora, escluse le cause ossee e neurogene principali come artrosi ed ernia al disco, occorre considerare l’insieme muscolare per individuare il disequilibrio che ha causato il dolore. Il mal di schiena, nella maggioranza dei casi, è provocato dall’abitudine ad assumere le posture (posizioni del corpo) scorrette che sono colpevoli di queste disarmonie. Tornando per chiarezza al paragone con la barca a vela, si pensi ad un carico "stivato" in modo errato, per esempio tutto su un lato: la conseguenza è che la chiglia (il bacino) e tutto il veliero (la schiena) si inclineranno da quella parte. Affinché l’albero svetti ancora perpendicolarmente (cioè si possa stare eretti) sarà necessario inclinarlo dall’altra parte. Quest’ultimo lavoro, che i muscoli "tiranti" fanno di continuo nelle variazioni delle posizioni corporee quotidiane, diventa dispendioso e faticoso quando una postura piuttosto che un’altra viene mantenuta troppo nel tempo o, peggio, quando certe attività, lavorative, sportive, movimenti quotidiani, vengono eseguite in modo scorretto.
La reazione a tutto ciò è la “contrattura muscolare” della muscolatura paravertebrale. Ed ecco allora il dolore, vero e proprio segnale di allarme che sta ad indicare che la schiena svolge con fatica il proprio lavoro.
Ma quali sono i meccanismi che nella contrattura muscolare causano il “mal di schiena”?
Prima di parlare di contrattura (patologica) muscolare è utile fare un accenno alla anatomo-
Il tessuto muscolare striato costituisce la muscolatura scheletrica. L’unita cellulare del t.m. è la fibra muscolare, una cellula plurinucleata con diametro variabile da 10 a 100 micro mm e lunghezza fino a parecchi centimetri. Le fibre muscolari sono disposte di norma parallelamente tra di loro, raggruppate in fascetti separati da setti connettivali (perimisio). Ogni fibra, avvolta dalla propria lamina basale, è separata dalle fibre adiacenti da connettivo interstiziale e alle estremità si inserisce nei tendini o nei setti connettivali del perimisio.
Lo stimolo nervoso induce la formazione di un potenziale di azione che dalla giunzione neuromuscolare si diffonde lungo la membrana plasmatici quindi anche lungo le sue invaginazioni, cioè i tubuli a T. La depolarizzazione della membrana dei tubuli T determina la fuoriuscita di Ca ++ dalle cisterne giunzionali del reticolo e la sua diffusione negli spazi miofibrillari. L’aumentata concentrazione del Ca++ libero nel citoplasma provoca l’attivazione del processo contrattile. Il Ca++ viene rapidamente ricatturato dal reticolo sarcoplasmatico grazie alla potente pompa del Ca++ ATP-
Secondo un modello largamente accettato, si ha contrazione quando la tropomiosina rientra più profondamente nel solco della doppia elica dell’actina, mentre in condizioni di rilasciamento la tropomiosiosina ha una posizione più esterna per cui impedisce stericamente il legame actina-
Un breve accenno per ricordare che la riformazione di ATP avviene grazie alla presenza degli aminoacidi fosfageni, primo fra tutti la fosfocreatina che reagisce con l’ADP con l’intercessione dell’enzima fosfocreatinchinasi.
In assenza di ATP si formano dei complessi stabili tra miosina e actina che rendono il muscolo inestensibile e sono responsabili del rigor mortis.
L’energia per la contrazione muscolare deriva dal metabolismo ossidativi: in particolare dalla demolizione dell’ATP che viene resintetizzato mediante le fosforilazioni ossidative (come si è già detto). Ciò implica che durante l’attività, il m. ha bisogno di maggiori quantità di ossigeno, che deve essere prelevato dall’atmosfera dai polmoni durante la respirazione e trasportato dal sangue. Il m. infatti non ha riserve di ossigeno; la mioglobina che è presente nei muscoli rossi, più che avere funzioni di deposito, serve per facilitare la diffusione dell’ossigeno portato dall’emoglobina. L’esercizio muscolare è accompagnato, perciò, da un aumento dell’attività respiratoria e dalla quantità di sangue che arriva al muscolo nell’unità di tempo. Infatti, non appena il m. entra in attività, le sue piccole arterie si dilatano: più sangue penetra nei capillari e più ossigeno passa per diffusione nelle fibre muscolari.
La vasodilatazione che avviene nel muscolo in attività è provocata da più di un fattore e le modificazioni del calibro arteriolare portano all’apertura di molti capillari non pervi in condizioni di riposo, per cui si passa a valori medi di di 300 – 600 capillari per mmq di sezione traversa del m. scheletrico a riposo a valori 3 – 5 volte superiore durante intensa attività e di conseguenza l’allenamento porta a un consistente e duraturo aumento del numero dei capillari pervi. La portata sanguigna pertanto varia da circa 5 ml/min per 100 g di muscolo scheletrico a riposo fino anche a 100 ml/min/100 g durante il massimo lavoro con un aumento di circa 20 volte. Secondo Honing (1979) una vasodilatazione attiva attribuita alle fibre estrinseche colinergiche del simpatico arteriolare, può precedere la contrazione con meccanismo di condizionamento. Questa risposta anticipatrice raggiunge il suo massimo in una decina di secondi e cessa in 30 – 40 sec. Nel frattempo neuroni intrinseci della parete arteriolare interverrebbero sul calibro di questi vasi entro 500 msec dall’inizio della contrazione e la dilatazione che ne consegue si completerebbe in 30 – 45 sec. Questo tempo corrisponde alla contrazione della massima parte del debito di Ossigeno.
Quando il muscolo si rilascia l’azione dei nervi cessa rapidamente ma persiste una sostenuta vasodilatazione, da attribuire completamente all’accumulo di metabolici: il volume e la persistenza di tale status dipendono dalla portata di Ossigeno, dalla durata e dal carico eseguito.
E’ noto che il flusso di sangue nel muscolo in attività fisica presenta oscillazioni periodiche sincrone con la contrazione e il rilasciamento dovute alla compressione armonica del letto capillare e venoso da parte dei fascetti di fibre, ma la portata media aumenta. Invece, nella contrazione isometrica sostenuta con sviluppo di una tensione > 50% della massima, la portata diminuisce progressivamente e cessa del tutto se la tensione muscolare è prossima o pari alla massima.
Contrattura muscolare (contrazione patologica acuta post trauma)
A seguito di un sovraccarico acuto delle unità contrattili viene, generato un danno al reticolo sarcoplasmatico delle fibre provocando la liberazione di ingenti quantitativi di ioni Ca++ indipendentemente dalla propagazione dei potenziali di azione dal sarcolemma ai tubuli T, che è invece il normale meccanismo attraverso il quale il release stesso si produce.
Il danneggiamento impedirebbe la ricaptazione degli ioni dopo ogni ciclo di contrazione, per cui la reazione dell’eccesso di questi e dell’ATP fornito dal normale metabolismo energetico provocherebbe uno strato di contrattura locale per la continua interazione delle teste dei filamenti di miosina con i siti dell’actina.
In un primo momento si verrebbe a creare nel muscolo una regione di incontrollato metabolismo cui farebbe seguito un’intensa vasocostrizione, probabilmente riflessa, mediata dal Sistema Nervoso Centrale e dalle fibre del Simpatico. L’ischemia prodotta, sia dalla vasocostrizione riflessa che dall’azione meccanica diretta delle fibre muscolari contratte, condizionerebbe, in un secondo momento, una riduzione dell’apporto energetico. Il deficit di ATP trasformerebbe la contrazione muscolare fisiologica in contrattura patologica per il mancato distacco delle teste di miosina dai filamenti di actina.
Il danneggiamento del tessuto muscolare sarebbe in grado di promuovere, inoltre, il rilascio locale di sostanze quali serotonina, istamina, chinine, prostaglandine ed altri metaboliti dotati di attività algogena.