L’olio di pesce non giova a cuore e vasi
L’aggiunta alla dieta di acidi grassi polinsaturi n-3 (Pufa n-3) non riduce né la morbilità né la mortalità per problemi al cuore o ai vasi nei pazienti con fattori di rischio cardiovascolare. Ecco le conclusioni del Risk and prevention study collaborative group, uno studio svolto da una squadra di ricercatori italiani guidati da Maria Carla Roncaglioni dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano pubblicato sul New England journal of medicine. «È stato suggerito che l'uso di Pufa n-3 derivati dal pesce può abbattere il rischio di malattie cardiovascolari, e un effetto sulla riduzione di mortalità e morbilità cardiovascolare è stato effettivamente documentato nei pazienti post infartuati e in quelli con scompenso di cuore» spiega la ricercatrice. Per approfondire l’argomento è partito, dopo un primo studio pilota, il Collaborative study group, un trial controllato in doppio cieco contro placebo progettato per valutare l'efficacia dei Pufa n-3 in soggetti a elevato rischio cardiovascolare, con fattori di rischio multipli o malattia vascolare aterosclerotica ma non infarto del miocardio, individuati da una rete di 860 Medici di medicina generale italiani. Lo studio ha coinvolto 12.513 pazienti, di cui 6.244 assegnati in modo casuale ad assumere un grammo giornaliero di acidi grassi polinsaturi, intesi come esteri etilici con contenuto di acido eicosapentaenoico e acido docosaesaenoico non inferiore all’85%, e 6.269 pazienti randomizzati a placebo. «L'end point iniziale comprendeva, oltre alla mortalità, l’infarto miocardico e l’ictus non fatale. Ma dopo un anno, a causa del basso tasso di eventi, è stato riformulato come mortalità o ricoveri ospedalieri per cause cardiovascolari» spiega Roncaglioni. E dopo un follow-up quinquennale, le curve degli end point erano praticamente sovrapponibili: 11,7% di eventi nei pazienti trattati con olio di pesce e 11,9% in quelli che assumevano placebo. «Dai nostri risultati non emerge alcun beneficio significativo dei Pufa n-3 sulla riduzione della mortalità o dei ricoveri per malattia cardiovascolare nella popolazione ad alto rischio» conclude la ricercatrice italiana.
N Engl J Med 368;19 may 9, 2013