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Infarto e ictus, meno morti ma più frequenti e cari

Infarto e ictus, meno decessi ma più frequenti e costosi
Diminuisce in Europa il numero di infarti e ictus fatali, ma nel futuro si soffrirà sempre di più di malattie cardiovascolari con un impatto economico considerevole. Il dato emerge dalle statistiche elaborate dalla Società Europea di Cardiologia e dall'European Heart Network, di cui per l'Italia fa parte l’Associazione Lotta alla Trombosi , diffuse in occasione della Giornata mondiale del cuore, celebrata il 29 settembre 2012. L'evento  si è concentrato sulla prevenzione verso donne e bambini. In particolare è stato delineato un quadro con differenze di genere importanti: negli uomini le malattie coronariche sono trascurabili fino a 40 anni, emergono fra i 40 e 50 anni e crescono in modo esponenziale con l'età, mentre nelle donne si manifestano dai 50-60 anni e poi crescono rapidamente con una maggiore frequenza di morte improvvisa, infarto silente e angina pectoris. Negli ultimi anni, comunque, è notevolmente aumentata la sopravvivenza e rispetto al 2008: la mortalità cardiovascolare è scesa dal 48 al 47% e dai 4,3 milioni decessi si è passati a circa 4 milioni. Le cause cardiovascolari che mietono più vittime sono ictus e infarto del miocardio: ogni anno in Unione europea muoiono 1,9 milioni di persone. Il dato positivo sull'inversione della mortalità va preso con cautela, poiché vengono perse  meno vite per malattie cardiovascolari rispetto al 2008, ma il problema rimane enorme.
Le proiezioni infatti evidenziano che il peso di queste malattie crescerà in futuro per  “ l'invecchiamento della popolazione e il dilagare di stili di vita pericolosi per la salute”. Il peso economico di queste patologie è enorme: 196 miliardi di euro vengono spesi ogni anno, di cui il 54% in costi diretti tra ricoveri, esami e farmaci, e il resto in costi indiretti. È come se ogni servizio sanitario nazionale dovesse spendere 212 euro per ogni abitante. Da sottolineare che: “La probabilità di avere malattie causate da trombosi dipende solo in parte dai nostri antenati,  per il resto da fattori di rischio che non sempre riusciamo a eliminare”.




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