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Arresto cardiaco: più chance se avviene in luogo pubblico
La quantità di arresti cardiaci extraospedalieri che si presentano con fibrillazione ventricolare iniziale o tachicardia ventricolare senza polso è molto superiore nei luoghi pubblici piuttosto che al domicilio del paziente, e il valore incrementale delle strategie di rianimazione, così come la pronta disponibilità di un defibrillatore esterno automatico (Aed), possono essere correlati al luogo dove avviene l'arresto. Sono i dati che derivano da uno studio prospettico di coorte degli arresti cardiaci extraospedalieri in soggetti adulti di 10 comunità nordamericane, svolto tra il 2005 e il 2007 da Myron L. Weisfeldt della Johns Hopkins university di Baltimora, allo scopo di verificare l'esistenza di un'associazione tra luogo dell'arresto, tipo di aritmia e probabilità di sopravvivenza. Su 12.930 arresti extraospedalieri valutati, 2.042 sono avvenuti in luogo pubblico e 9.564 a casa del paziente. Nel caso degli arresti occorsi al domicilio, l'incidenza della fibrillazione ventricolare o della tachicardia ventricolare senza polso è stata del 25% quando all'arresto era presente personale medico di emergenza, 35% se vi erano astanti, e 36% quando un astante applicava un Aed. In caso di arresto cardiaco in luogo pubblico, i tassi corrispondenti sono stati 38%, 60% e 79%. Il rapporto crociato (Or) aggiustato per fibrillazione ventricolare iniziale o tachicardia ventricolare senza polso in luogo pubblico vs casa è risultato 2,28 nel caso di soccorso di astanti e di 4,48 in caso di applicazione di Aed da parte di astanti. Il tasso di sopravvivenza alla dimissione ospedaliera si è attestato sul 34% per gli arresti in setting pubblico con Aed applicato da astanti vs 12% per arresti a casa (Or: 2,49).
N Engl J Med, 2011; 364(4):313-
Più rischi per stent a eluizione che a metallo nudo
I pazienti colpiti da infarto miocardico con sovraslivellamento St (Stemi) e sottoposti a intervento coronarico percutaneo con stent a eluizione di paclitaxel (Pes), hanno un rischio superiore di malposizionamento e mancata riendotelizzazione del dispositivo, a 13 mesi, rispetto a quanti ricevono uno stent a metallo nudo (Bms). I pazienti trattati con Pes, però, hanno tassi ridotti di proliferazione neointimale, e pertanto un minore rischio di restenosi vasale, rispetto a quelli sottoposti a impianto di Bms. Sono i risultati di un sottostudio dell'Horizons-
Circulation, 2011 Jan 25;123(3):274-
Aritmie e ICD, un vademecum per l’assistenza psicologica
Molti portatori di defibrillatore impiantabile (ICD) non hanno una corretta percezione del beneficio offerto dal dispositivo, e hanno spesso aspettative irrealistiche che, al confronto con la realtà quotidiana, generano in breve tempo stress psicologico per il paziente e per la famiglia, con possibili ripercussioni sfavorevoli sulle aritmie. Un panel interdisciplinare di esperti della American Heart Association ha raccolto le evidenze pubblicate sugli aspetti psicologici dell’impianto di ICD e i risultati degli studi condotti a oggi con interventi di vario tipo (educazionali, psicoterapia, gruppi di supporto, training aerobico), e ha stilato infine una serie di raccomandazioni pratiche per i clinici. «Questi pazienti hanno spesso una comprensione limitata di quanto a lungo potrebbero vivere e di come potrebbero morire, e dunque hanno difficoltà a collocare nel giusto contesto il potenziale impatto dell’ICD», affermano gli autori nel lavoro pubblicato da Circulation. Uno dei più comuni fraintendimenti, ad esempio, è ritenere che il defibrillatore attenui gli effetti della sottostante patologia cardiaca; e ancora, i pazienti spesso sovrastimano il contributo degli arresti cardiaci improvvisi alla mortalità generale, e di conseguenza anche le potenzialità del dispositivo nel ridurre la mortalità. Gli interventi di psicoterapia comportamentale si rivelano efficaci sull’ansia e sulla depressione, mentre gli interventi di tipo educazionale e sulla gestione dello stress hanno effetto sull’ansia. Controversa l’efficacia dei gruppi di auto-
Dunbar SB, Dougherty CM, Sears SF, Carroll DL, Goldstein NE, Mark DB, McDaniel G, Pressler SJ, Schron E, Wang P, Zeigler VL; on behalf of the American Heart Association Council on Cardiovascular Nursing, Council on Clinical Cardiology, and Council on Cardiovascular Disease in the Young. Educational and Psychological Interventions to Improve Outcomes for Recipients of Implantable Cardioverter Defibrillators and Their Families: A Scientific Statement From the American Heart Association. Circulation. 2012 Sep 24.
La supplementazione di calcio va condotta saggiamente e solo nei casi di effettiva necessità, pena un aumento del rischio di eventi cardiovascolari: lo indica uno dei più vasti studi prospettici europei, European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition study. La coorte Heidelberg coinvolta in questo studio, circa 24mila adulti tra i 35 e i 65 anni, tutti senza precedenti di eventi CV maggiori all’inclusione, è stata valutata per abitudini alimentari, assunzione di supplementi nutrizionali ed eventi maggiori di natura cardiovascolare. Come notano gli autori, in passato, all’assunzione di integratori di calcio – che riguarda in prevalenza donne in età postmenopausale – è stato attribuito un effetto favorevole sul profilo lipemico e sull’ipertensione, ma dati diretti sugli eventi cardiovascolari non erano disponibili. Ora il risultato di questa importante analisi pubblicata da Heart, che tiene conto di undici anni di follow up, indica che un modesto effetto sembra associato effettivamente all’assunzione di maggiori quantità di calcio con la dieta: i soggetti nel terzo quartile hanno un HR di 0,69 per l’infarto miocardico rispetto a quelli del primo quartile, anche se la differenza per la mortalità cardiovascolare complessiva è nulla. Per contro, chi utilizza supplementi contenenti calcio ha un maggiore rischio di infarto miocardico (HR 1,89) rispetto a chi non assume integratori.
Li K, Kaaks R, Linseisen J, Rohrmann S. Associations of Dietary Calcium Intake and Calcium Supplementation With Myocardial Infarction and Stroke Risk and Overall Cardiovascular Mortality in the Heidelberg Cohort of the European Prospective Investigation Into Cancer and Nutrition Study (EPIC-
Il fumo ha conseguenze più deleterie sulla donna rispetto all’uomo in termini di prognosi dopo un evento acuto coronarico. Questa differenza di genere è stata evidenziata dal norvegese Morten Grundtvig, dell’Innlandet Hospital Trust di Lillehammer. Grundtvig e il suo gruppo hanno seguito per un massimo di otto anni 2281 pazienti (37 per cento donne) dimesse dal ricovero tra il 1998 e il 2005 per infarto miocardico. Durante questo periodo il 55 per cento di tutti i pazienti è deceduto. Gli anni di vita perduti sono stati 10,3 per i fumatori, 6,4 per gli ex fumatori e 5,4 per i non fumatori. Ma le donne hanno la sorte peggiore: rispetto ai maschi fumatori, hanno perso 1,8 anni di vita in più. Si tratta di una ulteriore conferma di quella medicina di genere che evidenzia in modo ricorrente numerosi svantaggi a carico della donna in termini di salute e morbilità. In passato il fenomeno è stato spesso poco conosciuto, più che trascurato o poco considerato, soprattutto per la frequente tendenza e utilizzare in modo limitato il campione femminile. Ciò anche per ragionevoli ragioni etiche e scientifiche: il rischio di gravidanza, l’interferenza con un sistema ormonale molto più complesso hanno spesso rappresentato per i ricercatori un limite che si è voluto superare ricorrendo soprattutto a pazienti maschi, nell’ipotesi – poi smentita – che gli stessi risultati potevano essere applicati anche al genere femminile. Invece, la maggiore attenzione alla cosiddetta medicina di genere ha evidenziato che, caso per caso e malattia per malattia, l’esposizione degli uomini e delle donne al rischio di eventi patologici è diverso, spesso in misura considerevole, meritando un accurato approfondendo delle ricerche cliniche in senso mirato.
Morten Grundtvig et al: Reduced life expectancy after an incident hospital diagnosis of acute myocardial infarction — Effects of smoking in women and men. 20 August 2012, International Journal of Cardiology
Duplice terapia antiaggregante dopo stent medicato: 6 o 12 mesi
Alcuni colleghi cardiologi coreani hanno voluto verificare quale fosse il periodo di durata "ideale" della duplice terapia antiaggregante (DAPT) dopo il posizionamento di uno stent medicato: 6 o 12 mesi? Per farlo hanno valutato come endpoint primario il Target Vessel Failure (TVF), definito come endpoint composito di morte cardiaca, infarto miocardico o rivascolarizzazione del vaso ischemia-
• 4,8% nel gruppo in cui la DAPT è durata per 6 mesi
• 4,3% nel gruppo in cui la DAPT è stata prolungata per 12 mesi (dato indicativo di non inferiorità, visto che il limite superiore di 1 intervallo di confidenza bilaterale al 95% è risultato del 2.4%, p = 0.001 per la non-
Da segnalare però che le trombosi dello stent tendevano a verificarsi con maggiore frequenza nel gruppo nel quale la DAPT era stata di 6 mesi rispetto a quello di 12 mesi (0.9% versus 0.1%, hazard ratio 6.02; IC 95% 0.72-
Hyeon-
Diminuisce in Europa il numero di infarti e ictus fatali, ma nel futuro si soffrirà sempre di più di malattie cardiovascolari con un impatto economico considerevole. Il dato emerge dalle statistiche elaborate dalla Società Europea di Cardiologia e dall'European Heart Network, di cui per l'Italia fa parte l’Associazione Lotta alla Trombosi , diffuse in occasione della Giornata mondiale del cuore, celebrata il 29 settembre 2012. L'evento si è concentrato sulla prevenzione verso donne e bambini. In particolare è stato delineato un quadro con differenze di genere importanti: negli uomini le malattie coronariche sono trascurabili fino a 40 anni, emergono fra i 40 e 50 anni e crescono in modo esponenziale con l'età, mentre nelle donne si manifestano dai 50-
Lle proiezioni infatti evidenziano che il peso di queste malattie crescerà in futuro per “ l'invecchiamento della popolazione e il dilagare di stili di vita pericolosi per la salute”. Il peso economico di queste patologie è enorme: 196 miliardi di euro vengono spesi ogni anno, di cui il 54% in costi diretti tra ricoveri, esami e farmaci, e il resto in costi indiretti. È come se ogni servizio sanitario nazionale dovesse spendere 212 euro per ogni abitante. Da sottolineare che: “La probabilità di avere malattie causate da trombosi dipende solo in parte dai nostri antenati, per il resto da fattori di rischio che non sempre riusciamo a eliminare”.